Un servizio apparso su Wine&Food (aprile/maggio 2019) ha stimolato una riflessione sul mercato della birra, bevanda della quale sono appassionato, nonché degustatore e commentatore.
In un mercato ormai appiattito, parlo di qualche anno fa. irrompono all’improvviso (un poco come fu negli Stati Uniti) i cosiddetti microbirrifici. La birra artigianale diventa piano piano un fenomeno non solo economico ma anche culturale. I consumatori “scoprono” che le birre sono tante e varie, aromi e sapori nuovi. Come in tutte le cose, non tutti gli artigiani sono degli artisti ma il movimento c’è e si sente.
I grandi birrifici industriali, colpiti nei numeri e anche nell’immagine, inizialmente subiscono il colpo. Poi si riorganizzano, il marketing lavora sodo, nascono nuove proposte. In particolare la loro offerta si allarga, nascono nuovi prodotti, industriali sì ma sempre più vicini a quelli della concorrenza. Per ovvie ragioni di scala, più economici.
La buona notizia è che la rinascita dell’industriale non ha fagocitato i microbirrifici. Il mercato si è allargato e continua a crescere.
La mia riflessione:
- la storia ci racconta che la qualità paga
- la storia ci racconta che spesso, non è bello ma è così, solo uno shock ci permette (in questo caso ai grandi produttori) di ritornare alla realtà e di riscoprire i desideri dei consumatori. Ovvero, senza i microbirrifici noi consumatori ci saremmo dovuti rassegnare alle sempre più simili tra loro lager…
- la storia ci conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che la concorrenza fa bene al mercato, tutto: ai consumatori ma anche a chi produce
- la storia ci insegna che… evviva il cambiamento.